Basterebbe un semplice test al primo, minimo, sospetto.
Ci sono malattie rare, come quelle metaboliche o quelle da accumulo lisosomiale, come la glicogenosi o malattia di Pompe, che posso essere ‘scoperte’ attraverso esami biochimici anche quando non danno ancora segni. Alcune forme sono destinate ad esordire presto, con rapido decorso ingravescente se non adeguatamente curate; è il caso di molte malattie metaboliche. In altri casi, come nella variante della malattia di Pompe, i segni possono presentarsi più tardi, a qualsiasi età. Per alcune malattie metaboliche rare, soprattutto per quelle che hanno valide terapie o possono essere combattute con la dieta, c’è un forte consenso intorno all’utilità di una diagnosi alla nascita, dunque con screening neonatale.
Per quanto riguarda invece altre patologie ad esordio tardivo rare, come la malattia di Pompe, la discussione è viva. Abbiamo fatto il punto della situazione con la Dottoressa Tiziana Mongini, Responsabile dell’Unità Malattie Neuromuscolari dell’Ospedale Molinette di Torino, nonché uno dei Coordinatori del Gruppo di studio italiano AIM (Associazione Italiana Miologia) – AIG (Associazione Italiana Glicogenosi), un gruppo indipendente di neurologi italiani nato nel 2006.
Vale la pena scoprire una malattia ad esordio tardivo quando è ancora asintomatica?
L’argomento è molto delicato, non privo di implicazioni etiche. Dipende anche delle malattie, dal fatto che ci sia o meno una terapia e da quanto essa sia efficace. Prendiamo il caso della malattia di Pompe ad esordio tardivo, sulla quale il nostro gruppo ha lavorato, per la quale esiste una terapia, ma di cui non sappiamo ancora tutto.
Oggi succede che si faccia la diagnosi in mancanza di sintomi, magari nel corso di indagini per altri motivi, anche decenni prima che compaiano i segni di malattia. In questi casi non sappiamo quando esordirà la malattia, può succedere a 6 anni come a 40, ma averla diagnosticata è di fondamentale importanza, poiché ci permetterà di coglierne i primi sintomi ed agire di conseguenza.
Nel caso di malattia di Pompe quando è opportuno cominciare la terapia?
Su questo difficile quesito, il nostro gruppo è arrivato ad un consensus. Se si tratta di un bambino che sta benissimo, e questo viene valutato secondo una serie complessa e molto accurata di parametri, allora si preferisce non cominciare alcuna terapia. Medicalizzare così fortemente un bambino che fa tutte le normali attività e che potrà sviluppare la malattia a 40-50 anni non ci è sembrato giustificato dai dati sulla storia naturale di malattia. Questi soggetti verranno seguiti con una visita accurata ogni sei mesi. Se invece compare anche solo un piccolo segno che dia il sospetto che la malattia sta cominciando a manifestarsi, allora si comincia la terapia. Questo perché si è visto che la terapia è in grado di bloccare la progressione della malattia e stabilizzarla e che in alcuni casi c’è stata regressione. Purtroppo non è la cura definitiva, e speriamo che quella arrivi un giorno, ma è di certo di grande beneficio. Non tutti sono d’accordo con il fatto di aspettare i primi sintomi, c’è anche un gruppo di pediatri che sostiene l’inizio immediato della terapia anche senza sintomi. Tuttavia studi che dimostrino una maggiore efficacia della terapia cominciata in fase asintomatica non ci sono, mentre conosciamo i benefici di un trattamento comunque precoce.
Personalmente ha seguito dei casi con diagnosi asintomatica?
Attualmente sono tre. Uno viene seguito regolarmente, sta benissimo e non ha avuto bisogno di terapia, uno l’ha cominciata dopo un anno e mezzo dalla diagnosi mentre un altro ha mostrato presto i segni, dopo 6 mesi ha dovuto cominciare. A livello del Gruppo Italiano stiamo aggiornando in questo periodo i database, quindi non posso dare dati molto precisi. Abbiamo appena pubblicato sul Neurology un importante lavoro su circa 80 casi in terapia seguiti per quattro anni, ma esistono pazienti non in terapia e di questi una piccola percentuale è in fase asintomatica.
Sarebbe ipotizzabile lo screening neonatale di massa per questa malattia?
In alcuni paesi stranieri viene già effettuato uno screening neonatale per la forma infantile: l’iter è piuttosto complicato e richiede uno sforzo per cui il nostro sistema non è ancora del tutto preparato, non tanto per l’esame in sé ma proprio per la complessità della malattia.
Un conto è fare la diagnosi perché capita nel corso di altre indagini o perché si vedono dei sintomi sospetti, altra cosa è fare il test a tutti i bambini. Ma poiché la diagnosi precoce è di fondamentale importanza, nel frattempo, non penserei ad uno screening di massa quanto piuttosto ad uno selettivo.
In che senso uno screening selettivo?
Si potrebbe applicare il test diagnostico rapido su tutti, bambini o adulti, che presentino segni anche minimi compatibili con la malattia, in modo da non perdere tempo prezioso soprattutto nel caso della forma infantile. Per quest’ultimo gruppo, si potrebbe diffondere tra i pediatri l’uso di fare il test diagnostico su tutti i bambini che mostrano qualche minimo sintomo precoce (es., un minimo ritardo di accrescimento o di acquisizione delle tappe motorie, oppure un dubbio sulla funzionalità cardiaca). Per la forma più tardiva, gli indizi potrebbero essere un ritardo a iniziare a camminare (es. a 18 mesi), una debolezza a salire le scale, una dispnea non giustificata. Per avere il sospetto però servirebbe una maggiore sensibilizzazione di tutta la classe medica, purtroppo questo tipo di sensibilità manca un po’ ed è anche parzialmente colpa della preparazione universitaria, che tende a trascurare queste rare malattie.
Fonte: O.Ma.R. – Autore Ilaria Ciancaleoni Bartoli