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Autori: Jianbing Jiang, Chi-Lin Kuo, Liang Wu, Christian Franke, Wouter W. Kallemeijn, Bogdan I. Florea, Eline van Meel, Gijsbert A. van der Marel, Jeroen D. C. Codee, Rolf G. Boot, Gideon J. Davies, Herman S. Overkleeft, and Johannes M. F. G. Aerts
Rivista: ACS Central Science, 2016

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Un team di ricercatori dell’Università di York (Regno Unito) e dell’Università di Leiden (Paesi Bassi), finanziato dal Consiglio Europeo della Ricerca (ERC), ha sviluppato una sonda molecolare fluorescente che può essere utilizzata sia per migliorare la valutazione diagnostica dei pazienti che per ottimizzare l’efficacia dei trattamenti. Ciò potrebbe portare ad un significativo passo avanti nella diagnosi e nella terapia della malattia di Pompe. Tale condizione detta anche glicogenosi di tipo II (GSD2) è una patologia neuromuscolare cronica che colpisce circa 10.000 individui, appartiene alla famiglia delle malattie rare da accumulo lisosomiale ed è caratterizzata dal mancato smaltimento del glicogeno, la riserva energetica dei muscoli, dovuto ad una mutazione genetica ereditaria che si traduce nella mancanza dell’enzima alfa-glucosidasi acida (GAA). A causa di questo deficit enzimatico, il glicogeno, ossia la riserva di glucosio dell’organismo, si accumula in modo eccessivo, provocando una graduale debolezza muscolare e determinando problemi cardiaci e respiratori.
La tecnologia di cui si sono avvalsi i ricercatori europei è nota col nome di ‘Activity-Based Protein Profiling’ (ABPP), un particolare metodo di proteomica funzionale che è emerso negli ultimi 15 anni e che consiste nell’impiego di specifiche molecole, denominate ‘sonde’, in grado di permettere l’identificazione di diversi enzimi e lo studio della loro attività nel contesto dei processi fisiologici a cui essi partecipano.
A partire dal composto naturale ‘cyclophellitol’, i ricercatori sono riusciti a sviluppare una sonda fluorescente che, reagendo a GAA, ha consentito loro di monitorare con accuratezza l’attività di questo enzima in campioni cellulari che sono stati estratti da alcuni pazienti con malattia di Pompe. Gli autori dello studio sostengono che, attraverso il loro metodo, sia possibile valutare rapidamente i livelli di GAA attivo, sfruttando i risultati per diagnosticare con precisione la gravità della patologia e per elaborare strategie terapeutiche più efficaci, in un’ottica generale di medicina personalizzata.