Autori: Musumeci O, la Marca G, Spada M, Mondello S, Danesino C, Comi GP, Pegoraro E, Antonini G, Marrosu G, Liguori R, Morandi L, Moggio M, Massa R, Ravaglia S, Di Muzio A, Filosto M, Tonin P, Di Iorio G, Servidei S, Siciliano G, Angelini C, Mongini T, Toscano A; Italian GSD II group.
Rivista: J Neurol Neurosurg Psychiatry.
Uno studio multicentrico italiano ha dimostrato l’accuratezza della metodica di screening con Dried Blood Spot (DBS) per la diagnosi precoce di malattia di Pompe a esordio tardivo.
La malattia di Pompe a esordio tardivo è una forma lentamente progressiva di glicogenosi che si presenta in giovani adulti con debolezza muscolare progressiva e, a volte, insufficienza respiratoria.
La diagnosi costituisce tuttora una sfida per i medici e, a partire dall’esordio dei primi sintomi, comporta un percorso di diversi anni di indagini mediche. Il ritardo nella diagnosi è dovuto a diversi motivi fra cui la rarità della patologia, la varietà di presentazione clinica e la frequente sovrapposizione fra i sintomi della malattia e altri disturbi neuromuscolari.
Con questo studio si è pensato a un approccio che potesse essere il più rapido ed efficace possibile per identificare la malattia in ampie casistiche di pazienti con sintomi sospetti. Per poter far ciò bisognava approntare un metodo che fosse al tempo stesso affidabile, semplice da eseguire e poco costoso.
Per 14 mesi, 17 centri italiani per le malattie neuromuscolari hanno coinvolto più di 1000 pazienti con sintomi compatibili con la malattia e in ogni soggetto è stata quantificata l’attività dell’enzima GAA, i cui livelli sono diminuiti nei pazienti con malattia di Pompe. La metodica usata era molto semplice: veniva raccolto un piccolo quantitativo di sangue da cui alcune gocce venivano fatte stillare su un filtro di cartoncino e lasciate asciugare a temperatura ambiente. I campioni venivano poi spediti a due laboratori per misurare l’attività dell’enzima con metodiche diverse.
Lo studio ha dimostrato la validità e la sicurezza del test e ha permesso di giungere alla diagnosi in 17 pazienti di cui 5 non avevano ancora sviluppato sintomi della malattia, ma erano stati studiati perchè presentavano alcune alterazioni agli esami di laboratorio.
Alla luce del gran numero dei dati raccolti, gli autori hanno elaborato, inoltre, un percorso diagnostico per identificare la malattia nel modo più affidabile e rapido possibile e, in questo modo, aiutare i medici nella scelta pratica degli esami da eseguire.
Dal momento della diagnosi i pazienti sono stati trattati con la terapia enzimatica sostitutiva, verranno poi seguiti nel tempo per vedere se l’inizio precoce della terapia porterà a migliori risultati nella cura.
Dall’introduzione della terapia, avvenuta nel 2006, è già aumentata considerevolmente la conoscenza da parte dei medici di questa patologia, ma persistono ancora ritardi nella diagnosi. Questo studio costituisce un punto di partenza e un aiuto concreto per far sì che la malattia sia non soltanto prontamente riconosciuta, ma anche studiata, diagnostica e trattata precocemente