Spread the love

Lo conferma uno studio coordinato dall’Università di Pavia, che ha visto la partecipazione di 18 centri italiani

PAVIA – “Non era chiaro il motivo per cui due pazienti che condividono le stesse mutazioni genetiche presentassero quadri clinici diversi”: da questa premessa nasce lo studio sulla correlazione tra genotipo e fenotipo nella malattia di Pompe, pubblicato sull’ Orphanet Journal of Rare Diseases. Alla ricerca hanno partecipato 22 studiosi provenienti da 18 centri italiani: fra loro il prof. Cesare Danesino e la dr.ssa Paola De Filippi, del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Pavia.

“Non c’era evidenza che ciò fosse dovuto a fattori ambientali – ha spiegato il prof. Danesino – quindi abbiamo ipotizzato che dovesse trattarsi di fattori genetici, ovvero mutazioni di altri geni, diversi da quelli normalmente legati alla malattia di Pompe”. L’ipotesi si è rivelata corretta, con la dimostrazione che polimorfismi nei geni ACE e ACTN3, già noti da tempo, sono rilevanti per alcuni parametri della malattia.

“Abbiamo dimostrato che queste mutazioni rappresentano un fattore genetico in grado di modulare il fenotipo clinico dei pazienti affetti da malattia di Pompe, e abbiamo osservato che le varianti meno frequenti si associano alla sua comparsa più precoce”.

La malattia, infatti, si presenta in due forme: quella a esordio precoce, che solitamente porta al decesso entro l’anno di vita, e quella a esordio tardivo, che può manifestarsi a qualunque età e la cui speranza di vita è estremamente variabile.

La malattia di Pompe (conosciuta anche come glicogenosi di tipo II) è un disturbo genetico di tipo autosomico recessivo, descritto nel 1932 da Johannes C. Pompe (1901-1945), patologo olandese giustiziato dall’esercito tedesco per spionaggio pochi giorni prima della fine della seconda guerra mondiale. È causato dalla mutazione dell’alfa-glucosidasi, la proteina che catabolizza il glicogeno all’interno dei lisosomi. L’assenza di questo enzima porta ad un accumulo del glicogeno a livello del cuore, del fegato e dei muscoli: fra i sintomi appaiono debolezza muscolare, ipertrofia cardiaca e insufficienza cardiorespiratoria.

L’incidenza è di 1/40.000, il che significa 10-12 casi l’anno in Italia.

“Questo studio – continua Danesino – si è basato sull’ottima collaborazione fra neurologi di tutta Italia: è stato un fattore fondamentale per raccogliere i dati necessari. Fra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 contiamo di fare un’altra pubblicazione, ma questa ricerca ha bisogno di ulteriori finanziamenti per poter proseguire. Il prossimo passo sarà comprendere meglio i legami fra i polimorfismi e l’efficacia della terapia: il nostro obiettivo è arrivare ad una terapia personalizzata, sia che si tratti della terapia enzimatica sostitutiva o di altre che in futuro verranno scoperte”.

Fonte: O.Ma.R.  –  Francesco Fuggetta  –  Ottobre  2014

Visualizza l’articolo in formato pdf :

 la gravità è determinata dalle mutazioni genetiche associate