Autori: Annalisa Sechi, Laura Deroma, Annunziata Lapolla, Sabrina Paci, Daniela Melis, Alberto Burlina, Francesca Carubbi, Miriam Rigoldi, Maja Di Rocco
Rivista: The Journal of Inherited Metabolic Disease (2013)
La Glicogenosi di tipo I (GSDI) è una malattia metabolica rara ereditaria. Tale patologia è determinata da difetti nel complesso enzimatico glucosio-6-fosfatasi (G6P), coinvolto nella glicogenolisi e nella gluconeogenesi. La mancata produzione di glucosio durante il digiuno provoca gravi ipoglicemie e disturbi metabolici secondari come iperuricemia, iperlattacidemia e iperlipidemia. Nella GSDIb possono anche essere riscontrate: neutropenia, disfunzioni predisponenti a frequenti infezioni e malattie infiammatorie croniche intestinali.
I pazienti affetti da GSD vengono sottoposti a trattamento dietetico, essenziale per evitare l’ipoglicemia. Tale dieta consiste in pasti frequenti, nella somministrazione di amido di mais crudo e/o nutrizione enterale continua notturna mediante sondino nasogastrico o nutrizione parenterale. Seguendo l’intenso trattamento dietetico, l’aspettativa di vita di questi pazienti è notevolmente migliorata, facendo luce così su nuovi scenari correlati all’età adulta. Le più rilevanti complicanze a lungo termine sono gli adenomi epatici e i danni renali. È stata inoltre riportata un’alta prevalenza di sindrome da ovaio policistico (SOPC) in pazienti affette da GSD associata con resistenza all’insulina nelle donne con GSDIa. La fertilità e la gravidanza in donne affette da malattie metaboliche possono presentare diverse complicanze. Sebbene siano documentati i successi di gravidanze in donne affette da GSD sia di tipo Ia che di tipo Ib, il numero riportato di pazienti con figli propri è ancora basso e ad oggi non è del tutto chiaro se tale dato sia o non sia dovuto ad alterazioni nell’apparato riproduttivo.
Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare fertilità, gravidanza e le eventuali complicanze in una coorte relativamente ampia di donne con GSDI. Hanno partecipato sette diversi centri metabolici italiani e sono stati inclusi tutte le pazienti di sesso femminile con GSDIa o GSDIb, diagnosticata mediante test enzimatici o analisi molecolare, con età uguale o superiore a 16 anni nell’anno 2009.
Il danno renale è stato valutato mediante la misurazione della velocità di filtrazione glomerulare (GFR), della microalbuminuria o proteinuria in una raccolta delle urine su 24 ore. Gli adenomi epatici sono stati valutati tramite ecografia o risonanza magnetica del fegato. La presenza di sindrome da ovaio policistico è stata valutata mediante ultrasonografia pelvica.
Sono state reclutate 32 donne di sesso femminile, 25 con GSDIa e 7 con GSDIb con età media (al momento dello studio) di 26 anni e con età media alla diagnosi di 1 anno.
Delle 32 pazienti, 29 assumevano amido di mais non cotto almeno una volta al giorno, 10 sono state alimentate in passato mediante nutrizione enterale continua notturna e solo una paziente al momento dello studio era alimentata tramite nutrizione enterale continua notturna. Una paziente ha necessitato della gastrostomia endoscopica percutanea (PEG) dai primi anni di vita fino a 14 anni.
Da questo studio sono emersi risultati importanti su fertilità e gravidanza in donne con GSDI.
Il 28% delle pazienti arruolate ha avuto un esordio del menarca dopo i 15 anni ed è stata trovata un’associazione statisticamente significativa tra l’età alla diagnosi e l’età all’inizio del menarca (p= 0.0068) e tra l’età all’inizio della somministrazione di amido di mais cotto e l’età all’inizio del menarca (p=0.01), a conferma del fatto che una diagnosi precoce con un rapido avvio del trattamento dietetico e l’assunzione di amido di mais, possono impedire il ritardo della pubertà. Il 53% delle donne dello studio, ha presentato cicli mestruali irregolari, anche se quattro pazienti hanno dichiarato una scarsa compliance alla terapia dietetica.
Una buona compliance dietetica non è sufficiente per regolarizzare la funzionalità ovarica nelle pazienti con GSDI. È interessante notare però che le donne nate prima del 1980 (era pre-amido di mais), hanno avuto cicli più irregolari. Nel 36% delle 22 pazienti sottoposte a ecografia ovarica, è stata riscontrata una prevalenza della SOPC, mentre non è stata trovata nessuna associazione tra cicli mestruali irregolari o SOPC e le principali complicanze a lungo termine della GSD (adenomi epatici e malattie renali).
Delle pazienti arruolate nello studio, soltanto una donna non è stata in grado di concepire, presentando altre disfunzioni endometriali non correlate con GSD; tutte le restanti sono riuscite a concepire spontaneamente entro 12 mesi. Delle cinque donne che hanno avuto una o più gravidanze, quattro hanno presentato cicli mestruali irregolari e una ha presentato la SOPC. In considerazione dei risultati ottenuti, la presenza di cicli mestruali irregolari e della SOPC in GSD non sembra avere un’associazione positiva con la fertilità delle pazienti e in caso di problematiche legate alla fertilità, la risposta alla terapia di stimolazione ovarica sembra buona.
Innegabilmente la gravidanza rappresenta un momento particolare nella vita di una donna con adattamenti fisiologici che interessano gli ormoni, il metabolismo del glucosio e le modificazioni ematologiche. Queste modificazioni possono portare a complicanze specifiche nelle pazienti con GSDI, In particolare la minore sensibilità all’insulina associata a vomito può innescare episodi di ipoglicemia durante il primo trimestre, con potenziali gravi effetti negativi sulla madre e sul feto.
Successivamente, durante la gravidanza, il feto è in grado di produrre glucosio endogeno attraverso la gluconeogenesi, ma in caso di ipoglicemie materne ripetute, il catabolismo proteico può causare una crescita fetale ridotta. Per quanto riguarda l’aumento del fabbisogno di carboidrati, è stato segnalato solo in due gravidanze, mentre negli altri cinque casi è stato mantenuto un buon controllo metabolico, senza modifiche sostanziali alla dieta.
Questo studio fornisce risultati sulla possibilità di complicanze durante la gravidanza precedentemente non correlate con GSD, come l’aumento delle dimensioni di adenomi preesistenti e lo sviluppo di nuovi adenomi. Il caso più rilevante è stato quello di una giovane paziente con una forma clinicamente lieve di GSDIb che durante le due gravidanze consecutive ha sviluppato adenomi multipli.
Il rischio di sviluppare adenomi epatocellulari è aumentato in donne sane che assumono contraccettivi orali ed è stata riscontrata un’associazione anche con la gravidanza, molto probabilmente a causa degli aumentati livelli di ormoni steroidei sessuali circolanti.
Questi risultati importanti suggeriscono fortemente una pianificazione della gravidanza nelle donne affette da GSDI, raccomandando il monitoraggio ecografico del fegato prima, durante e dopo la gravidanza. Se gli adenomi vengono rilevati prima della gravidanza, la donna dovrebbe essere informata del rischio potenziale del loro ingrandimento e della loro rottura durante la gestazione a causa dell’aumentata vascolarizzazione. Adenomi di grosse dimensioni (≥ 5 cm) dovrebbero essere rimossi chirurgicamente prima della gravidanza, mentre quelli più piccoli possono essere gestiti attraverso monitoraggio ogni 6 settimane.
In conclusione, l’ingrandimento di adenomi o il loro sviluppo ex-novo, anche in assenza di una storia di adenomatosi, sono stati segnalati per la prima volta come possibili complicanze della gravidanza in donne affette da GSDI; per tale motivo è di fondamentale importanza eseguire monitoraggi del fegato prima, durante e dopo la gravidanza